Domanda

Il nostro comune ha approvato il codice di comportamento di ente a gennaio 2014, secondo le indicazioni del d.p.r. 62/2013 e la delibera ANAC n. 75 del 24 ottobre 2013. Dobbiamo procedere all’approvazione di un nuovo codice?

Risposta

Tra le numerose misure previste dalla legge Severino (legge 6 novembre 2012, n. 190) in materia di prevenzione della corruzione, l’adozione del Codice di comportamento di amministrazione, rappresenta una delle misure più significative e pregnanti, dal momento che riguarda lo strumento con cui vengono regolate le condotte dei dirigenti e dei dipendenti, finalizzandole verso una migliore attenzione per l’interesse pubblico e l’imparzialità della pubblica amministrazione, prevista dall’art. 97 della costituzione.

La materia risulta, ad oggi, disciplinata dal nuovo articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, rubricato, appunto, “Codice di comportamento”.

La vigente normativa prevede, infatti:
a)    un codice nazionale, definito dal Governo e approvato con decreto del Presidente della Repubblica (DPR 16 aprile 2013, n. 62), la cui violazione è “fonte di responsabilità disciplinare”;
b)    un codice per ogni amministrazione pubblica, definito con “procedura aperta alla partecipazione” e con parere obbligatorio dell’OIV o NdV, la cui violazione è anch’essa fonte di responsabilità disciplinare.

Entrambi i codici devono essere pubblicati, nel sito web istituzionale, nella sezione Amministrazione trasparente>  Disposizioni generali> Atti generali.

È bene, inoltre, ricordare (art. 2, DPR 62/2013) che i codici di comportamento, per quanto compatibili, si applicano anche:
–       a tutti i collaboratori e consulenti con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo;
–       ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche;
–       ai collaboratori, a qualsiasi titolo, di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione.

Sulla pratica e concreta applicazione delle norme contenute nei due codici (nazionale e di ente) devono vigilare i dirigenti o le posizioni organizzative, negli enti senza la dirigenza, nonché le strutture di controllo interno (art. 147, TUEL 267/2000) e gli UPD (Uffici Provvedimenti Disciplinari, art. 55-bis, d.lgs. 165/2001).

Chiarito ciò, rispondendo al quesito, è possibile sostenere che, al momento attuale, nessuna norma di legge prevede l’obbligo di procedere alla revisione del codice di comportamento approvato nell’ente, qualche anno fa.

Possiamo aggiungere, però, che la materia è oggetto di specifico studio da parte dell’ANAC, che sta svolgendo un doveroso approfondimento sui punti più rilevanti della disciplina, partendo dalla constatazione della scarsa innovatività dei codici di amministrazione “di prima generazione”, approvati – come prevedeva la norma – entro sei mesi dall’emanazione del DPR 62/2013.

Secondo l’ANAC, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, il codice di ente si è limitato a riprodurre le previsioni del codice nazionale, omettendo di individuare quegli obiettivi di lunga durata, finalizzati alla riduzione del rischio corruttivo. Per tale ragione l’ANAC (delibera n. 1074 del 21/11/2018, Parte Generale, Paragrafo 8 “I codici di comportamento”), ha previsto di emanare delle apposite Linee guida sull’adozione dei nuovi codici di comportamento di amministrazione (definiti “di seconda generazione”), preannunciando che le suddette Linee guida saranno emanate nei primi mesi dell’anno 2019.

Alla luce del manifestato intendimento dell’ANAC, è consigliabile procedere all’approvazione del Piano triennale Anticorruzione e Trasparenza 2019/2012, secondo la normale scadenza di legge del 31 gennaio 2019, riservandosi di “mettere mano” al nuovo codice di comportamento di amministrazione – che dovrà essere approvato sempre previo svolgimento della procedura aperta – appena saranno applicabili le Linee guida dell’ANAC sulla specifica materia.

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