La gestione dello smart working al tempo del coronavirus

Consuelo Ziggiotto e Davide d’Alfonso

Proseguiamo l’impegno di Publika nel condividere gratuitamente approfondimenti che riguardano questo contesto operativo. Questa volta parliamo di Smart Working.
Oltre ad una breve, ma completa, disamina dell’istituto lavorativo che improvvisamente è diventato “obbligatorio” per le pubbliche amministrazioni, proponiamo anche due modelli operativi.
Ringrazio Consuelo Ziggiotto e Davide d’Alfonso per l’ottimo lavoro fatto, per la tempestività e la condivisione.

Gianluca Bertagna

 

Lo smart working nasce nel 2015. Trova prima disciplina nella legge 124/2015 all’art.14, alla quale seguono la legge 81/2017[1], le linee guida contenute nella Direttiva della Funzione Pubblica del 26 giugno 2017 e un dettaglio introdotto dalla Legge di Bilancio 2019 che è andata a modificare un articolo della Legge 81/2017[2]. Fino al 23 febbraio scorso questa diversa modalità di prestare l’attività lavorativa, slegata dal concetto del tempo e dello spazio, non aveva incontrato grande favore fra i dirigenti della pubblica amministrazione, soggetti ai quali è demandato il compito di perseguire questo tipo di progettualità come un obiettivo correlato alla valutazione della performance.

Sono da sempre apparse come dinamiche lavorative poco propense ad essere accolte nell’ambito del pubblico impiego, tant’è che la sperimentazione, a distanza di pochi anni dall’entrata in vigore delle norme, ha riguardato poco più dell’8% degli Enti Locali.

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