Domanda

Nel nostro comune abbiamo assunto un dirigente a contratto, ex art. 110 TUEL, il cui incarico scadrà nella primavera del 2019. L’istituto del “pantouflage”  si applica anche in questa ipotesi o solo ai dipendenti a tempo indeterminato che cessano dal servizio?

Risposta

Il “pantouflage” o ”revolving doors” (traduzione: porte girevoli) è un istituto introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, ed è disciplinato all’art. 53, comma 16-ter, del Testo Unico sul pubblico impiego, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. In virtù della disposizione de quo “i dipendenti dell’Ente che nel corso degli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto dell’amministrazione, non possono svolgere nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività dell’Ente svolta attraverso i medesimi poteri”; pena, la nullità dei contratti di lavoro conclusi e degli incarichi conferiti in violazione della norma, oltre che il divieto, per i soggetti privati che hanno concluso illegittimamente i contratti o conferiti incarichi, di contrattare con l’amministrazione pubblica nei tre anni successivi.

Esso costituisce, per il legislatore e l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), misura di prevenzione della corruzione essendo finalizzato ad evitare – o quantomeno, a ridurre il rischio – che un dipendente pubblico, nello svolgimento della propria attività istituzionale, possa precostituirsi una situazione favorevole per essere successivamente destinatario di incarichi dirigenziali e/o di consulenza. Viene, pertanto, limitata la libertà negoziale del dipendente per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro pubblico, al fine di eliminare la “convenienza” di accordi fraudolenti.

Ad integrare il disposto normativo, sicuramente non esaustivo, ci ha pensato in questi anni l’Autorità Nazionale Anticorruzione con interpretazioni e direttive in materia. Già l’allora Civit (Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), invero, con il primo Piano Nazionale Anticorruzione, approvato con deliberazione n. 72/2013, aveva fornito chiarimenti sui confini e l’ambito di applicazione della norma specificando che i dipendenti interessati “sono coloro che per il ruolo e la posizione ricoperti nell’amministrazione hanno avuto il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto dell’atto e, quindi coloro che hanno esercitato la potestà o il potere negoziale con riguardo allo specifico procedimento o procedura”; ed ancora, sempre in riferimento all’applicabilità dell’istituto, che non rilevava tanto la causa di cessazione del dipendente (comprendendosi anche il collocamento dello stesso in quiescenza per raggiungimento dei requisiti di accesso alla pensione), quanto la forma contrattuale del nuovo impiego, non essendo ammesso né il rapporto di lavoro autonomo, né quello subordinato.

Nulla era stato specificato, invece, in sede di prima attuazione, sulla questione oggetto del quesito sottoposto: e cioè se il vincolo imposto dalla norma valesse per tutti i dipendenti o solo per quelli incardinati in maniera stabile all’interno dell’amministrazione.

Sul punto è di recente ritornata l’ANAC con l’ultimo aggiornamento al PNA, tuttora in consultazione, stabilendo che “una limitazione ai soli dipendenti con contratto a tempo indeterminato sarebbe in contrasto con la ratio della norma, volta a evitare condizionamenti nell’esercizio di funzioni pubbliche e sono pertanto da ricomprendersi anche i soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di lavoro a tempo determinato o autonomo”.

Nello stabilire ciò l’Autorità ha inoltre richiamato un suo precedente parere (n.2 del 4 febbraio 2015), con il quale aveva chiarito la portata dell’art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165,  affermando che un’interpretazione della norma limitata esclusivamente ai dipendenti a tempo indeterminato non fosse in linea con il disposto dell’art. 21, del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 (recante «disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50 della legge n. 190/2012»), a tenore del quale «ai soli fini dell’applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell’incarico».

Alla luce di tutto quanto sin qui esposto, rientrando l’incarico dirigenziale, ex art. 110 TUEL 267/2000, nell’alveo degli incarichi a tempo determinato di tipo subordinato, si risponde in modo affermativo al quesito posto. Da ciò discende, infine, l’obbligo per l’ente, di specificare tale situazione sin dall’emanazione dell’avviso pubblico necessario allo svolgimento della selezione propedeutica all’instaurazione del rapporto di lavoro.

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