Domanda

In più occasioni Anci ed Ifel si sono espressi con propri pareri sulla ‘corretta’ applicazione di norme contabili. Io nell’incertezza interpretativa ho sempre cercato di attenermi a tali pareri, talvolta citandoli anche negli atti del mio comune. E’ corretto farlo?

 

Risposta

Il comportamento del lettore è lo stesso di molti funzionari della pubblica amministrazione locale (dei servizi finanziari ma non solo) che quotidianamente si trovano a dover applicare norme spesso assai poco chiare se non addirittura contrastanti fra di loro. Come ognuno sa bene, a volte è difficile anche solo individuare il testo vigente di una certa norma che si è chiamati ad applicare. Frequenti e disorganici interventi del Legislatore che potremmo definire di ‘microchirurgia legislativa’ ne complicano ulteriormente il lavoro. Negli ultimi anni poi, come è ben noto, la produzione normativa è divenuta assai frenetica e convulsa. Alle norme di legge, la cui semplice lettura è spesso operazione complessa da fare, seguono poi circolari ministeriali interpretative, linee guida, pareri vari resi da parte di organi competenti, oltre alla copiosa produzione di commentatori più o meno autorevoli. In questo dedalo intricato il funzionario pubblico che predispone le proposte di atti deliberativi o le singole determine è poi chiamato a rilasciare i propri pareri di regolarità tecnica e/o contabile ai sensi dell’art. 49 del Tuel o a sottoscrivere i propri atti monocratici. La prassi di affidarsi agli orientamenti interpretativi di Anci, Ifel, Cdnc o altri organismi autorevoli è sicuramente condivisibile. E’ un sicuro aiuto in questo compito quotidiano così arduo. Ma di sicuro ciò non pone al riparo da eventuali responsabilità che dovessero emergere in seguito, magari a fronte di verifiche da parte della Corte dei conti o degli ispettori del Mef-Rgs. Sul tema è incidentalmente intervenuta nei mesi scorsi proprio la Corte dei conti. Nello specifico lo ha fatto la Sezione regionale per la Toscana con deliberazione n. 60/2020/PRSP del 16 luglio 2020. In occasione della verifica delle consuete relazioni rese dall’organo di revisione interno sui bilanci preventivi e consuntivi di un comune rese ai sensi della L. 266/2005, è emerso come quest’ultimo abbia agito facendo propri alcuni orientamenti interpretativi in materia di FCDE e principi contabili forniti dal Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti nello schema di relazione al bilancio e da Anci. Tale scelta, a detta del comune, avrebbe dovuto garantire una certa tranquillità circa la correttezza del proprio operato. In risposta a ciò i magistrati contabili sottolineano invece come non si possa “[…] non evidenziare come proprio il dato letterale del principio non lasci spazio ad altre interpretazioni (e non certo per “severità” della Sezione di controllo) […] il richiamo alle indicazioni del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti sia privo di pregio non avendo tali indicazioni alcuna valenza né normativa né interpretativa. Stesse conclusioni per i pareri redatti dall’Anci che pur rappresentando una “fonte” più autorevole, non possono acquisire valore sostanziale e porsi in contrasto con le interpretazioni fornite dalla Corte dei conti”. Quindi, in conclusione: tutti questi pareri ed orientamenti interpretativi ai quali la stessa Corte riconosce forza ed autorevolezza in quanto resi da organismi consulenziali a supporto degli enti locali nella complessa materia della contabilità degli enti locali, non possono porsi in contrasto con le interpretazioni rese dalla Corte dei conti stessa. A rigore quanto sostenuto dai magistrati contabili è assolutamente condivisibile: nella variegata gerarchia delle fonti del diritto per le interpretazioni (seppur autorevoli) non c’è evidentemente posto. E’ bene quindi conoscerne il contenuto e utilizzarle per farsi un’idea più precisa e puntuale sull’applicazione delle norme, ma con l’accortezza che esse non andrebbero mai considerate al pari di queste ultime (se contrastanti con le stesse).

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