Domanda

Come funziona l’equivalenza dei profili professionali e la possibilità di cambiare le mansioni dei dipendenti?

 

Risposta

La concreta possibilità di utile reimpiego in profili professionali equivalenti rappresenta il legittimo esercizio del potere dello jus variandi da parte del datore di lavoro pubblico.

La disciplina delle mansioni nel pubblico impiego si rinviene, in primis, secondo la gerarchia delle fonti, dall’art. 52 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale, al comma 1, prevede:

«Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.»

L’art. 3 del CCNL Regioni-Autonomie Locali del 31 marzo 1999, non disapplicato dal recente CCNL Funzioni Locali del 21 maggio 2018, prevede:

  • un sistema di classificazione del personale del comparto enti locali suddiviso in quattro categorie, collegate alle declaratorie di cui all’allegato «A», che descrivono requisiti professionali, competenze richieste, caratteristiche essenziali delle mansioni ascrivibili, nonché una esemplificazione di profili (art. 3, commi 1, 4, 5, 6);
  • che tutte le mansioni ascritte dal contratto all’interno delle singole categorie, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili, e che l’assegnazione delle mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro. (art. 3, comma 2).

Sulla base di quanto sopra riportato, nella fattispecie proposta, si ritiene necessario per il datore di lavoro pubblico procedere al mutamento del profilo professionale del dipendente, nel rispetto delle Declatorie- Allegato A del CCNL Regioni Autonomie Locali del 31/03/1999, come confermato da ultimo anche dall’art. 19 del CCNL delle Funzioni Locali del 21/05/2018, che disapplicando l’art. 14 del CCNL Regioni Autonomie Locali dell’06/07/1995, ha elencato tra gli elementi che devono essere indicati nel contratto individuale:

a)       tipologia del rapporto di lavoro;
b)       data di inizio del rapporto di lavoro;
c)        categoria e profilo professionale di inquadramento;
d)       posizione economica iniziale;
e)       durata del periodo di prova;f
f)        sede di lavoro;
g)       termine finale in caso di rapporto di lavoro a tempo determinato.

A conferma di quanto sopra esposto sul legittimo esercizio del potere dello jus variandi del datore di lavoro pubblico, nell’ambito dell’equivalenza delle mansioni, si nota che nell’elencazione sopra riportata non compaiono più le mansioni corrispondenti alla qualifica di assunzione, previsti invece nel disapplicato art. 14 CCNL dell’06/07/1995.

Il rifiuto a sottoscrivere un nuovo contratto di lavoro per il mutamento del profilo professionale comporta la violazione degli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà che gravano sul prestatore di lavoro pubblico. Gli stessi sono  richiamati nel Codice di Comportamento (D.P.R. n. 62/2013) e comunque ricompresi  nell’obbligo generico di cui agli artt. 2104 e 2105 del codice civile.

Ciò lo possiamo ricavare dal fatto che è espressamente previsto l’applicazione dell’articolo 2106 del Codice Civile nell’articolo 55 comma 2 del D. Lgs. 165/01 e tale articolo richiama proprio gli articoli 2104 e 2105 del Codice Civile.

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